di Paolo Fiorelli e Rosa Baldocci
MARTEDI' 23 maggio
Ancora una volta i francesi hanno dimostrato la loro predilezione per Nanni Moretti, già premiato con la Palma díoro per «La stanza del figlio». «Il caimano» (che ha incassato in Italia 8 milioni di euro ed Ë già stato comprato da Belgio, Olanda, Svizzera, Gran Bretagna, Francia, Grecia, America del sud) ha ricevuto un accoglienza tiepida alla proiezione per la stampa ma calorosissima a quella per il pubblico e l'autorevole «Le Monde» lo ha definito «un film sull'anima italiana, il suo film più forte, in cui i due personaggi Bonomo e Belusconi hanno in comune lo stesso vizio: quello della menzogna come arte di vivere sconfinante con la tragica buffoneria». Anche riguardo allo stile del film «Le Monde» non si è risparmiato in complimenti paragonandolo a «Il dittatore» di Chaplin e chiudendo l'articolo così: «Grande arte che permette a Moretti di firmare, alla sua maniera, il suo personale «8 e mezzo».
E mentre sfilavano sulla Croisette i protagonisti del terzo capitolo della saga degli X- Men al gran completo (ma il film per la regia di Brett Ratner ha lasciato freddina la critica e anche gli appassionati del fumetto), come al solito ha colpito duro il francese Bruno Dumont, già premiato a Cannes con il Grand Prix nel 1999, regista da tenere díocchio da tutti coloro che amano i film diversi. Con «Flandres», in concorso, Dumont mette in scena, senza fare sconti e concedere nulla (niente musica, pochissimi dialoghi, attori non professionisti), la storia di tre giovani contadini francesi costretti a partire per una guerra immaginaria ( ma potrebbe essere una delle tante in cui il mondo Ë coinvolto oggi) e del loro (in realtà se ne salverà uno solo) difficile ritorno. Quel che colpisce di Dumont è il realismo crudele, secco come uno schiaffo in piena faccia. La natura (la campagna brumosa e gelata dell'inverno e le pietraie deserte e polverose di un Paese lontano) mantiene la stessa indifferenza cieca e misteriosa dei gesti dell'uomo (fare l'amore, farsi male, uccidere, vendicarsi), animale destinato a una solitudine estrema. Questo líenunciato. Se non fosse che i corpi dei protagonisti diventano l'alfabeto per esprimere il dolore di anime che non sanno comunicare. Sguardi, gesti delle mani, lacrime, lasciano trasparire quello che non si è in grado di proferire. Lo spettatore ne esce sgomento ma conquistato. Anche se Dumont sa, e se ne assume il rischio, di «piacere soltanto a una minoranza».