00 21/09/2004 13:01
Sembra esserci un diabolico rapporto tra la mediocrità e la serenità e longevità delle persone. Più precisamente sembrerebbe essere inversamente proporzionale la "percentuale" di mediocrità rispetto al malumore e alla lunghezza della vita di una persona.
Per dirla in parole povere sembrerebbe che più una persona è mediocre(esclusivamente dal punto divista prettamente cognitivo comportamentale, non fisico) più vivrà serena e più a lungo. Così un persona più è brillante(sempre dal punto di vista cognitivo comportamentale) più vivrà(percentualmente)meno e con più problemi. Ora, le motivazioni che portano a questa statistica sono di facile intuizione(un film abbastanza esplicativo in questo senso anche se estremamente banalizzante è Forrest Gump). Infatti il problema vero che si pone a questo punto dello "studio" è di tipo etico e anche teoretico. Cioè, è "giusto" che una persona mediocre viva meglio e più a lungo di una che non lo è(certamente è di difficile interpretrazioine, dal punto di vista ermeneutico, il termine mediocrità. Ovviamente si parte dal presupposto irreale e utopico che tutti gli individui partano dallo stesso punto alla nascita, senza nessuna differenza, quindi si parla di una "mediocrità guadagnata", almeno per la maggior parte)?
Un genitore quindi cosa dovrebbe sperare?Un figlio in gamba ma con poca serenità o un figlio mediocre ma sereno?