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Grizzly Man

Ultimo Aggiornamento: 11/01/2007 15:25
08/01/2007 22:00
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"Grizzly Man è uno dei film più sconvolgenti di Werner Herzog, e anche uno dei più teorici. E questo nonostante le riprese effettive - per quel che riguarda il mondo degli orsi - non siano sue ma di colui la cui vita Herzog esplora: il giovane attivista, Timothy Treadwell, ecologista più o meno improvvisato, ucciso da un grizzly nel 2003 insieme alla sua ragazza, dopo aver vissuto per tredici estati sperduto nella wilderness dell'Alaska. Ancora una volta Herzog mette in scena - stavolta dal vero - la vita di un "folle", di un uomo ossessionato da un sogno che non può non ricordare Klaus Kinski, col quale Herzog realizzò ben cinque film (sei, considerando quel meraviglioso documentario che è Il mio nemico più caro - Kinski).
Dal 1990 fino all'anno della sua morte Timothy Treadwell, ogni estate, si è avventurato in un angolo sperduto dell'Alaska per vivere insieme ai suoi orsi e per riprenderli con la sua cinepresa, a distanza molto ravvicinata, cercando spesso il contatto fisico, senza nessuna arma per difendersi, ben conscio della loro pericolosità ed imprevedibilità. Il progetto di Treadwell era quello di realizzare un documentario che sensibilizzasse l'opinione pubblica sull'importanza di preservare l'ambiente naturale, con particolare riferimento alla minaccia costante del bracconaggio. Per questo si recò volentieri nelle scuole o in televisione, dove fu ospite, fra l'altro, del celebre show di David Letterman. Secondo alcuni però, proprio la sua vicinanza costante faceva sì i grizzly si abituassero alla presenza umana, favorendo il gioco sporco dei cacciatori di frodo. Ma nelle interviste fatte da Herzog a parenti ed amici viene fuori invece il volto puro di un sognatore americano di provincia, un po' eccentrico e forse ingenuo, che si inventò origini australiane, tentò di fare l'attore, e scoprì poi la sua vera vocazione.
Ma a Herzog non interessa fare apologie o accuse, né trarre conclusioni morali qualsivoglia, bensì vedere/scoprire attraverso degli "occhi in prestito", quelli di Treadwell, un modo possibile (unico) di guardare all'altro da sé per eccellenza, ovvero il mondo della natura selvaggia, quello che gli anglosassoni chiamano "wilderness". Il materiale girato da Treadwell rivela uno sguardo talmente puro, privo di filtri estetici (del cinema, o del documentario televisivo specializzato), da affascinarlo: in particolar modo quelle scene fra una ripresa e l'altra che Treadwell avrebbe sicuramente tagliato, scene "vuote", in cui campeggia la natura in tutta la sua neutralità e alterità; e d'altro canto la partecipazione umana di Herzog alla storia incredibile del giovane lo spinge a realizzare in sua vece il sogno di mostrare quelle immagini. Ciò che colpisce, dunque, è ancora una volta, la disponibilità alla fascinazione del cineasta tedesco verso ciò che è diverso da sé, seppur simile.
Treadwell non è certamente un individuo nel quale il cineasta si rispecchia, né può far sua quella visione non solo armoniosa e acritica della natura, ma anche emotiva e sentimentale. Herzog, come egli stesso puntualizza ricorrendo alla voce fuori campo, nella natura vede soprattutto il caos e l'inattuabilità di una reale comunanza con essa da parte dell'uomo. Eppure c'è, e si avverte, un legame profondo fra Treadwell e Herzog, e precisamente nella necessità fisica, viscerale, di puntare lo sguardo, e di non distoglierlo mai, sull'ignoto, sull'inconoscibile: che sia la giungla amazzonica, un immaginario pianeta acquatico, un grizzly feroce, o una creatura selvaggia di nome Klaus Kinski. O la morte stessa. Herzog infatti insiste a più riprese sulla ferocia dell'accaduto e sui particolari riguardanti il decesso del giovane e della ragazza che era con lui: l'intervista al coroner, che torna in più parti, da cui si ottiene un resoconto dettagliato e agghiacciante (proprio perché distaccato, professionale) dell'accaduto; il ritrovamento di un nastro con le voci delle vittime che urlano - voci che Herzog ascolta e non fa ascoltare, ma che è quasi peggio immaginare; l'orologio ritrovato al polso del cadavere che il regista regala a un'amica di lui, nonché ex-ragazza, Jewel. In tutto ciò sembra di scorgere un'angosciosa domanda inespressa nel film: fino a che punto un uomo può spingersi verso la realizzazione di un sogno, fino a che grado è disposto a guardare in faccia la propria morte? Non (solo) uno scavo nella natura, ma (soprattutto) un salto nel vuoto nella complessità spesso contraddittoria della natura umana."

Vittorio Renzi
FONTE: http://www.cineclick.it/recensioni/archiv/grizzlyman.asp
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