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vivere a catania

Ultimo Aggiornamento: 09/02/2006 01:28
12/06/2005 13:07
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Ecco cosa scrive Enzo Biagi in "I come italiani" (CDE, Milano, 1993).


Catania

Piazza Duomo è il riferimento ufficiale per dire Catania: come la via Etnea è quello mondano. Colpisce l'armonia degli edifici che la circondano e le strade ampie, con gli sfondi scenografici, che vi sboccano. Nel mezzo c'è la fontana dell'Elefante che la gente chiama «diutuv», e sta per Diodoro, un famoso negromante dell'età bizantina che esercitava le sue stregonerie in questi luoghi.
Catania vuol dire tante cose: l'Etna, prima di tutto, con la lava che talvolta si incendia di rossi bagliori, i boschi, i vigneti, le piante di pistacchio. Vuol dire Bellini, e la sospirosa definizione di «cigno» gli sta giusta per le melodie, meno appropriata per il senso concreto degli affari, che distinse il compositore di Norma, capace di ottenere compensi più alti di quelli del Mercadante e rispetto maggiore anche di Rossini; vuoI dire Giovanni Verga, che Pietro Citati giudica «un uomo secco mediocre e incolto, abitato da pensieri ovvii e da sentimenti comuni», che scrisse però due capolavori come I Malavoglia e Mastro-don Gesualdo.
Ora Aci Trezza, patria di Padron 'Ntoni, è scomparsa, uccisa dal cemento; dove erano le casette dei pescatori, sono spuntate le ville e i condomini e il villaggio è un centro turistico, e dove si distendevano le reti si esibiscono bionde ragazze nordiche in bikini.
Chiamano Catania «la Milano del Sud»: e non so se è proprio un complimento. Ha i vizi delle metropoli, senza i vantaggi: uno sviluppo caotico, che cancella le testimonianze di una antica civiltà. Anche il centro storico decade, e non soltanto quella che fu chiamata Terra dei Ciclopi, per raccontare le avventure di Ulisse e più tardi quelle, umanissime, dei personaggi verghiani: via Etnea che era il salotto, il giardino, il palcoscenico di Catania, ha perso molto del vecchio fascino. Pindaro chiamava Catania «città dei gagliardi» per la fierezza della sua gente, che si rivela perfino all'opera dei pupi: le marionette di Palermo piegano le ginocchia, le catanesi no: sono rigide, perché non si inchinano davanti a nessuno. «Questo» dice lo scrittore Sebastiano Addano «è un popolo sempre in attesa di una risposta.»
Ma cerchiamo di evitare i luoghi comuni. Osserva Paolo Isotta: «La passionalità e la focosità dei meridionali non sono che un motivo letterario, nemmeno così illustre: il distacco, l'obiettività, la pazienza, lo scetticismo, sovente l'ipocondria, caratterizzano in realtà l'uomo del Sud».
Io direi: anche lui. Ma se la cattedrale, che i normanni vollero come chiesa fortezza, dedicata dalla pietà dei devoti a Sant'Agata, con le sue parti sveva e barocca, ha il richiamo dell'arte, io consiglierei il viaggiatore di varcare l'arco che porta alla Pescheria, per immergersi in quello della vita: grida, volti, odori, i banchetti colmi e luccicanti di scaglie costituiscono una scena indimenticabile.
Scrive Mario Soldati: «E tutto insieme, il vento fresco, il profumo di iodio e di alghe, il vocio della folla, i gridi dei venditori, le ombre profonde, le vividissime luci, i colori, l'argento, il verde, l'azzurro, il rosso dei pesci, era una composizione di una vitalità inebriante, tutto ci piaceva, tutto ci tentava».
Il pesce dello Ionio, che nelle osterie si trasforma in piatti di sarde al beccafico, con i capperi, le olive bionde, la cipolla e il formaggio siculo, o il pesce spada al salmoriglio, all'origano; o se amate le verdure, ricordate la zuppa di fave fresche e i carciofi della piana, ripieni di aglio e di prezzemolo e cotti nella carbonella. Occorre uno stomaco robusto, ma siamo nei paraggi dei personaggi omerici, che scagliavano massi come se fossero coriandoli, o delle marionette impavide che scintillano d'oro, di piume, di spade.


A parte i dettagli turistici da guida Baedeker, l'analisi del grande vecchio vi soddisfa?
Saluti,
Act.
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