00 26/06/2006 22:29
Dopo la recente uscita del difficile "The Drift", Scott Walker è tornato prepotentemente nella mia discografia quotidiana.
Non passa giorno che non mi capiti di mettere su qualche suo pezzo di fine '60.
Quando venni a sapere di Scott Walker - qualche anno fa - stavo leggendo una intervista a Morgan dei Bluvertigo.
Che con l'aria di chi la sapeva lunga, svelava quanto David Bowie, Brian Ferry, Nick Cave, David Sylvian, Marc Almond, Julian Cope, Jervis Cocker, ecc... avessero imparato da Scott Walker,
da quel suo cantato da crooner malinconico e teatrale, a metà strada tra Frank Sinatra e Tony Bennett.
Californiano ombroso e schivo - Scott Walker era troppo per il mercato americano dei '60: i suoi Walker Brother suonavano musica leggera molto più vicina al pop che stava spopolando in Inghilterra...dove trovarono difatti immediato e folgorante successo, tallonando persino le prime posizioni dei Beatles. Ben più significativi però sono gli album da solista del nostro, quattro splendidi lavori pubblicati tra il ’67 ed il ’70 intitolati semplicemente “Scott”…
Gli anni ’70 invece sembrarono segnare il declino di questa improbabile star, decaduta nell’alcool e nella depressione. A poco valse la reunion del trio e la pubblicazione nel ’78 dell’album “Nite Flight”, che tuttavia alterna a pezzi modesti qualche raffinato esercizio di stile.
Ascoltate almeno le prime quattro tracce, raffinate ed espressive ballate elettroniche che valsero all’album il generale consenso della critica, ansiosa di gridare alla resurrezione di Walker.
Eppure occorrerà attendere l’83 per ascoltare "Climate of hunter" che con una svolta difficilmente interpretabile anticipa prematuramente la cupezza e l’attualità di “Tilt”, capolavoro del rock decadente dei ’90.