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Theodore Dreiser

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    sergio.T
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    00 15/12/2005 21:24
    Un autore americano. Anzi il padre della narrativa americana e soprattutto del Naturalismo americano.
    Scrittore controverso,e' senza dubbio un "classico" che ha sempre fatto discutere:
    cinico, profondamente immorale, il grande scrittore dellIndiana, fu spesso accusato di avere una scrittura scialba, sterile, poco poetica, ma i suoi romanzi a distanza di quasi un secolo, rimangono imperniati su temi talmente attuali da rimanervi sconcertati..
    La visione d'insieme dei suo romanzi e' grandiosa: dettagliata, precisa come una lama, la sua osservazione psicologica della vita e dei suoi personaggi , incanta per la meticolosita' e il realismo descrittivo.
    Le sue opere principali sono:
    Nostra sorella Carrie
    Il titano
    e lo stupendo Una tragedia americana

    I suoi scritti oltre ad essere una "narrativa" piacevolissima e un punto d'osservazione dell'animo umano, rappresentano una veduta totale dello spirito americano, sia individuale, che sociale.
    In un certo senso li si puo' definire le "voci" della cultura fondante statunitense.
    In una America che sul finire del secolo scorso declinava dalle sue origini di frontiera, per albeggiare in una nuova filosofia imperante sia a livello industriale, militare e politico; in una America dove l'individuo assumeva sempre piu' importanza e verita' come la "forza", "l'astuzia", l'immoralita' senza scrupolo, la fortissima "capacita' di volere", divenivano i tratti peculiari della soggettivita' statunitense, Dreiser, ci accompagna con i suoi romanzi all'origine della concezione "vitalistica" americana, con tutte le sue contraddizioni e angosce, ma anche con tutto il suo infinito fascino
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    mujer
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    00 16/12/2005 19:40
    Leggerò Dreiser molto presto, e sarà la prima volta.
    Ho finito di leggere, in questi giorni, un altro statunitense, un filosofo poco conosciuto che, pur con una scrittura poco articolata e a volte appesantita da cavillose descrizioni, ha scritto uno dei libri più belli da me letti finora.

    Da Walden ovvero Vita nei boschi di Henry D Thoreau:

    "La mattina, bagno il mio intelletto nella stupenda e cosmogonica filosofia del Bhagvat-Gita, dalla cui composizione sono passati anni degli dei, e in confronto alla quale il nostro mondo moderno e la sua letteratura sembrano piccoli e volgari; e io credo che quella filosofia debba riferirsi a un precedente stato di esistenza, tanto remota dalle nostre concezioni è la sua spirituale elevazione. Poso il libro, e vado alla mia fonte per trarne acqua, e, oh! incontro il servo del Brahmino, prete di Brahma, di Visnù e di Indra, che siede nel suo tempio, sul Gange, leggendo i Veda, o abita ancora ai piedi d'un albero, con la sua crosta di pane e la sua brocca d'acqua."

    In questo pezzo un discorso che mi sta a cuore. Le diverse concezioni filosofiche, quelle provenienti da culture poco conosciute dal mondo occidentale.
    Thoreau era uomo che rompeva con la propria cultura e viveva in prima persona un "panteismo" che gli permise di trovare la vera essenza di sè.

    In fondo le filosofie occidentali hanno "complicato" il tutto.

    Chissà cosa avrà mai pensato il filosofo congolese a noi sconosciuto?
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    sergio.T
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    00 16/12/2005 22:46
    E' vero la filosofia occidentale ha complicato un po' tutto se vogliamo cosi' dire, ma forse perche' piu' profonda o piu' ricca di spunti di altre, ad esempio di quella congolese...
    A parte tutto, pero', bisogna dire che la filosofia in un certo qual senso, e' un mosaico umano, al quale concorrono molte concezioni e molti sitemi: dovunque nel mondo si rifllette da millenni sul senso dell'esistenza.
    E' assurdo pensare che questo esercizio sia come dire, obsoleto, o inutile; la scienza, questo moloch moderno, piu' di tanto non potra' fare, e oltre alla spegazione meccanica o deteministica, non potra' andare.
    Dunque la riflessione filosofica trovera' ancora molte porte aperte: anche quelle congolesi.
    Perche' no?
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    sergio.T
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    00 17/12/2005 19:25
    La metto qui, ma vale come proseguo di altra discussione.

    "L'aristocrazia e' una funzione, una parte del destino.
    E le masse sono anch'esse una funzione, dall'altra parte del destino.
    L'individuo conta pochissimo.
    Fondamentale e' invece la funzione per la quale si viene "allevati" e guidati. Non e' l'individuo a fare l'aristocrazia, ma e' la funzione di tutto quanto e' aristocratico.
    Ed e' la funzione della massa a formare quello che e' l'uomo comune."

    D.Lawrence