Piergiorgio Welby e l'eutanasia

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Kazufai
00sabato 7 ottobre 2006 18:52
Se un medico vi dicesse: "Lei ha una malattia incurabile e le resta poco da vivere, però... noi potremmo farle un buco in pancia (gastrostomia) per poterla alimentare, poi le praticheremo un foro nel collo (tracheostomia) per permetterle di respirare, le introdurremo un tubicino nell'uretra (catetere vescicale) per consentirle di urinare, un'infermiera le svuoterà giornalmente l'intestino... Naturalmente dovremo sottoporla a forti terapie antibiotiche per contenere le infezioni causate dai tubi... inevitabilmente dovrà sottoportare i decubiti, piaghe dolorose che corrodono la carne fino all'osso... però lei potrà vivere anche un anno e più!".
Se un medico vi dicesse: "Lei ha una malattia incurabile e le resta poco da vivere, però... noi potremmo ridurre le sue sofferenze al minimo e, su sua richiesta, procurarle una morte indolore, purtroppo la scienza ha i suoi limiti". Da quale medico vorreste essere curati?


Trattasi di uno dei tanti interrogativi che da anni, Piergiorgio Welby, continua a porre nei confronti della coscienza comune, invocando il diritto alla morte, così come quello alla vita. O semplicemente chiedendo ad ognuno di ammettere che, quando una vita cessa di essere tale, l'uomo è soltanto un ammasso corporeo inerme. Il signor Welby ha deciso di andarsene. Il signor Welby ha chiesto formalmente, all'Italia intera, con una lettera al Presidente della Repubblica, di andarsene. Il signor Welby ha chiesto di smettere. Smettere di soffrire, smettere di morire ogni giorno, più di quanto un cuore possa fare cessando di pulsare in petto. Perchè la morte vera è la logorazione quotidiana di noi stessi. L'eutanasia è un tema più che scottante: incadescente, bollente; così tanto che nessuno, chissà come mai, osa prenderlo bene in mano, analizzarlo fulgidamente. E non parlo certo di chi, come me, dal suo misero pulpito di blogger, osa avanzare un passo in un universo che, decisionalmente, sembra non appartenergli. Ma che umanamente sente proprio, come il dolore immenso che è. Io, d'altro canto, chi sono per paragonarmi al signor Welby? Non ho provato un minimo, sulla mia pelle, di quella sofferenza che posso soltanto sfiorare col pensiero. Ma tanto basta, per poter semplicemente capire, come colui che guarda, come colui che vede.
In Italia, la strada verso l'eutanasia sembra irta di ostacoli tutt'altro che facilmente sormontabili. In primis, quel carattere religioso che contraddistingue il paese, e che in questo caso sbaglia, sbaglia di grosso. Leggevo oggi su Panorama un'intervista a monsignor Elio Sgreccia.

D: Perchè la Chiesa è contraria all'eutanasia?
R: La vitra non è nostra. E' un dono, perciò è nostro dovere proteggerla dal primo istante del concepimento fino alla morte naturale.

"La vita non è nostra". Cosa devono sopportare i miei occhi. E leggo poi, immediatamente accanto: "E' un dono". Ma che dono è un qualcosa che non ci appartiene? Che dono è un qualcosa che, nel momento in cui ci viene donato, diventa soltanto parzialmente nostro? Io sono ateo, sì. Ma bisogna essere cretini, suppongo, per affermare certe fesserie. E non cristiani, non credenti.
Volto tre pagine, e, finalmente, leggo una valida opposizione di Paolo Guzzanti.

Non ci vuole molto a prevedere che, così come il divorzio è diventato ripudio, e l'aborto contraccezione, l'eutanasia porterà alla eliminazione legale di chiunque sia di peso per famiglie o strutture pubbliche.

Ecco, a parer mio, l'unico problema plausibile. L'abuso. Quel maledetto vizio che l'uomo non pensa nemmeno lontanamente di lasciarsi alle spalle. E per questo, dal profondissimo basso della mia ignoranza, vi chiedo: non sarebbe possibile permettere l'eutanasia soltanto a chi, costantemente in preda alle sofferenze di una malattia terminale, ha la facoltà di prendere da sè la decisione di morire? Non si potrebbe consentirla solo a chi può scegliere, parlare da sè, come il signor Welby?

Tutti chiediamo qualcosa: saperne un po' di più, morire un po' di meno. E alla fine non stringiamo che un mucchio di domande in un pugno, e nell'altro, il nulla più assoluto.

[Modificato da Kazufai 07/10/2006 18.53]

skagpaul
00domenica 8 ottobre 2006 12:32
Siamo ancora in una società di stampo gotico-medievale, dove sofferenza sta per espiazione e purificazione cristiana.
E' triste e sconfortante ma è così...Mi vergogno non dico di appartenere, ma anche solo di essere confuso e/o accomunato ad un sistema di "valori" del genere...

[Modificato da skagpaul 08/10/2006 12.33]

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