E' morto Ambrogio Fogar

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Askani
00mercoledì 24 agosto 2005 12:10
MILANO, 24 agosto 2005 - L'avventura di Amborgio Fogar è terminata. Nella notte, poco prima delle due nell'abitazione di via Crescenzago, il cuore dell'esploratore milanese ha smesso di battere, i suoi occhi si sono chiusi e per Ambrogio è giunta l'ora di lasciare quel corpo immobile dal 1992, per l'incidente automobilistico nel deserto del Turkmenistan, e ripartire verso nuovi percorsi.
Uomo di grande coraggio, Fogar era pronto a partire per la Cina, per sottoporsi alle cure con cellule fetali del neurochirurgo Huang Hongyun. Si era offerto come cavia dalle pagine di "Controvento, la mia avventura più grande", un libro scritto assieme a Giangiacomo Schiavi, giornalista del Corriere della Sera, uscito solo due mesi fa. l viandante solitario, che il 13 agosto aveva compiuto 64 anni, avrebbe voluto che si facessero esperimenti con cellule staminali sul suo corpo, immobilizzato dopo l'incidente del 12 settembre 1992 nel raid Parigi-Mosca-Pechino, che gli costò la seconda vertebra cervicale spezzata e il midollo spinale tranciato.
Ma l'arresto cardiocircolatorio, avvenuto all'1.30 di questa notte, quando i familiari hanno allertato i sanitari del 118 perché lo avevano trovato incosciente, gli ha tolto quest'ultima speranza. Una speranza cui aveva dato voce anche nel libro "Solo - La forza di vivere", dove ha scritto: "È strano scoprire l'intensità che l'uomo ha nei confronti della voglia di vivere: basta una bolla d'aria rubata da una grotta ideale, sommersa dal mare, per dare la forza di continuare quella lotta basata su un solo nome: speranza".
"Ecco, se leggendo queste pagine qualcuno sentirà la rinnovata voglia di sperare - si legge ancora - avrò assolto il mio impegno, e un altro momento di questa vita così affascinante, così travagliata e così punita si sarà compiuto. Una cosa è certa: nonostante le mie funzioni non siano più quelle di una volta, sono fiero di poter dire che sono ancora un uomo".
Nonostante la gravità della malattia, che lo bloccava in un letto e lo costringeva a respirare e parlare con l'aiuto delle macchine, Fogar negli ultimi anni ha aiutato la raccolta di fondi per l'associazione mielolesi, è stato testimonial per Greenpeace contro la caccia alle balene, ha collaborato con La Gazzetta dello Sport e No Limits world. Nel 1997 era riuscito ad attrezzare una barca per poter tornare sul mare, partecipando al Giro d'Italia a vela, e sentirsi ancora vivo. Resterà nel mito degli avventurieri, vuoi anche per quella pazza spedizione al Polo Nord con il cane Armaduk, resterà nella memoria per la voglia di lottare contro una paralisi che lui non avrebbe mai meritato.
Askani
00mercoledì 24 agosto 2005 12:17
MILANO - E' morto questa notte, nella sua casa di Milano, Ambrogio Fogar. Il 64enne esploratore era paralizzato dal 1992, a causa di un incidente automobilistico avvenuto nel deserto del Turkmenistan durante il raid Parigi-Mosca-Pechino. Da quasi tredici anni era bloccato in un letto e respirava e parlava solo grazie alle macchine.

Il decesso è avvenuto poco prima delle due di notte, nell'appartamento di via Crescenzago, dove sono intervenuti i sanitari del 118 e i carabinieri e dove la salma ora riposa, custodita dai familiari.

Uomo di grande coraggio, Fogar era pronto a partire per la Cina, per sottoporsi alle cure con cellule fetali del neurochirurgo Huang Hongyun. Si era offerto come cavia dalle pagine di 'Controvento, la mia avventura piu' grandé, un libro scritto assieme a Giangiacomo Schiavi, giornalista del 'Corriere della Sera', uscito solo due mesi fa.

Il viandante solitario, che il 13 agosto aveva compiuto 64 anni, avrebbe voluto che si facessero esperimenti con cellule staminali sul suo corpo, immobilizzato dopo l'incidente del 12 settembre 1992, che gli costò la seconda vertebra cervicale spezzata e il midollo spinale tranciato.

Ma l' arresto cardiocircolatorio, avvenuto all'1.30 di questa notte, quando i familiari hanno allertato i sanitari del 118 perché lo avevano trovato incosciente, gli ha tolto quest'ultima speranza.

Una speranza cui aveva dato voce anche nel libro 'Solo - La forza di vivere', dove ha scritto: "E' strano scoprire l'intensità che l'uomo ha nei confronti della voglia di vivere: basta una bolla d'aria rubata da una grotta ideale, sommersa dal mare, per dare la forza di continuare quella lotta basata su un solo nome: speranza".

"Ecco, se leggendo queste pagine qualcuno sentirà la rinnovata voglia di sperare - si legge ancora - avrò assolto il mio impegno, e un altro momento di questa vita così affascinante, così travagliata e così punita si sarà compiuto. Una cosa è certa: nonostante le mie funzioni non siano più quelle di una volta, sono fiero di poter dire che sono ancora un uomo".

Nonostante la gravità della malattia, Fogar negli ultimi anni ha aiutato la raccolta di fondi per l'associazione mielolesi, è stato testimonial per Greenpeace contro la caccia alle balene, ha collaborato con 'La Gazzetta dello Sport' e 'No Limits world'.
indifference
00mercoledì 24 agosto 2005 15:37
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un vero Uomo, addio
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