Vediamoci chiaro!
Scritto da: indifference 13/06/2005 22.31
ma secondo voi entrare in classifica significa essere commerciali ?
paolo conte , ivano fossati , de gregori (anche se ora lo si puo accusare di scelte commerciali!) , guccini ....potrei scomodare anche il rimpianto Faber ...ogni volta che pubblicano un nuovo album anche loro arrivano dritti in classifica....ma non venitemi a dire che sono commerciali!!! non ho mai visto un loro video , ne un intervista sui giornali , ne sentito una loro canzone alla radio ...credo che lo stesso valga per L.Ferretti.
Indy, come dice Cicciobaffo, “leggi il labiale”:
tutto ciò che è in commercio ed è “guidato” dall’anima del commercio è commerciale e, particolarmente nel campo musicale, non solo la Pausini, i Paps’n’Skar o Meneguzzi. L’aggettivo ha assunto una valenza metonimica, un’etichetta di scarsa qualità perché tante persone (me compresa) hanno abboccato spesso all’amo delle operazioni messe in atto dal marketing. Il commercio, però, serve agli artisti, se vogliono raggiungere la gente e se vogliono portare la pagnotta a casa, altrimenti, possono anche chiudere la porta del box sotto casa e suonare per piacere personale; poi, sta al pubblico stabilire ciò che piace e ciò che vende e, dal momento che viviamo in democrazia, la maggioranza impone il suo volere e la minoranza fa i suoi comodi. Per come vedo io le cose, è una questione di gusti, che sono sempre basati su individualità, idiosincrasie ed evoluzione dei tempi (io, ad esempio, da pischella odiavo il jazz, perché non lo capivo, e ora ne vado pazza). Tornando ai CCCP/CSI, non tutti quelli che acquistarono “T.R.E” nel ’97 ripercorsero a ritroso il background del gruppo, procurandosi l’opera omnia dei CCCP e seguendo anche le vicissitudini dei PGR: il perché è imperscrutabile, composto da tante variabili. Resta certa solo l’impennata delle vendite di quel disco: ottanta mila copie. Entrò in classifica direttamente al primo posto e vi restò a lungo: ti puoi immaginare che portata sensazionale? Non se lo sarebbe mai aspettato nessuno dai CSI! Perciò, se un lato della medaglia fu la meraviglia, l’altro fu il disappunto dei seguaci di vecchia data più intransigenti, i fondamentalisti che consideravano il successo e la popolarità un tradimento di principi cari solo a loro e che storsero il naso già di fronte a “Socialismo e barbarie” (ma a me… che me ne importa?
). Ad ogni modo, la tua differenziazione tra commerciale e non commerciale ha preso gli esempi inadeguati, perché la fama di Conte, Fossati, De Gregori, De André (e ne potrei aggiungere tanti altri) è consolidata al di là delle vendite. Sono artisti che non hanno disdegnato di frequentare i mass media: personalmente, ricordo tantissime interviste, esibizioni, spettacoli, concerti e interventi, in passato, quando questo tipo di cultura era favorita e caldeggiata trasversalmente da radio, televisione e stampa. Negli ultimi tempi, credo che a svantaggio della promozione a tamburo battente sia subentrata una certa stanchezza nei confronti dei canali di diffusione, per cui gli artisti hanno accettato la sordina, il profilo basso del sito scarno o della cosiddetta “ospitata” televisiva oppure permettendo che un gran numero di giornali e riviste mettesse in piedi iniziative per ripubblicare le loro opere a prezzo ridotto e a grande tiratura. Ora è chiaro il discorso? Se, poi, per te, queste sono eresie ed io sono la Giovanna d’Arco della situazione, ricorda che, dopo essere stata arsa viva sul rogo come eretica, la pulzella ora è santa nell’alto dei cieli e patrona della Francia.
Vorrei solo limitarmi ad osservare la realtà per come è.
Ed ora, scusate se salgo in cattedra per un Off Topic, ma l’occasione è troppo ghiotta per lasciarmela sfuggire.
Scritto da: handofdoom 16/06/2005 23.15
piccolo appunto : non credete che avere 16/17 anni e avere degli interessi in ambito musicale (per giunta abbastanza profondi) siano due cose così raramente conciliabili.
forse è internet che ci fa "crescere" più in fretta, voi che dite?
Anche se dubito che manchi una sorta di influenza (che sia verticale, orizzontale o trasversale poco importa) nella (ri)scoperta di opere che appartengono al patrimonio culturale dell’umanità, c’è sempre in ballo una questione di gusti: tu scopri l’esistenza di un cantante o di un gruppo (te ne parla un amico, lo trovi mentre navighi, vedi un suo disco in un negozio o altro), lo ascolti, lo gradisci e lo segui nella sua produzione; sono sicura che il diciassettenne mio dirimpettaio ascolta DJ Francesco perché gli piace, non solo perché ha partecipato al Festival di Sanremo ed è “commerciale”. Se, poi, io nutro antipatia o apatia nei confronti di DJ Francesco e dei suoi accoliti, è un problema mio.
Ciò di cui dubito è che la diffusione pubblicitaria di gruppi “di nicchia” avvenga senza pubblicità, perché a mio parere ogni passaparola, anche il più sussurrato, fa da pubblicità. Quello che internet ha cambiato, è che grazie all’introduzione del file sharing, la distribuzione non è più commerciale (nel vero senso della parola), con grande scorno delle case discografiche e maggiore giovamento di chi abita lontano dai negozi più forniti.
Internet non è una culla per lo sviluppo culturale dei ragazzi, né una fonte di conoscenza, una specie di pasto in scatola in cui è tutto pronto ed è sufficiente cliccare, bensì rappresenta uno strumento (veloce e pratico) per attingere conoscenza, una conoscenza, tuttavia, molto limitata. Mi spiego con un’allegoria: immaginiamo di essere assetati (di conoscenza) e di trovarci davanti ad un pozzo pieno d’acqua (il patrimonio culturale mondiale). Di solito, per procurarsi acqua, servono un secchio ed una corda: ecco, internet non è il pozzo (gli archivi, le biblioteche, le librerie, le scuole, le testimonianze), né il secchio (la mente), ma una corda (uno dei tanti strumenti) che non è mai lunga abbastanza per raggiungere il fondo della riserva, per cui, la quantità e la qualità d’acqua che lo strumento ci permetterà di pescare da questa riserva, dipenderà dall’inventiva che adopereremo nel suo uso.
Pensateci.
Cordiali saluti,
Act.