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E' morto Ingmar Bergman

Ultimo Aggiornamento: 06/09/2007 21:10
30/07/2007 18:57
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TRE OSCAR PER MAESTRO DI SILENZI E SIMBOLI
(di Ettore Zocaro)

Ingmar Bergman era figlio di un pastore della corte reale svedese. Forse per questo la sua opera di sommo regista, drammaturgo, sceneggiatore e scrittore è stata un intenso dialogo con le profondità dell'anima, segnato da un oscuro senso di colpa. Lo stile limpido del suo cinema ha illuminato un'opera ampia (40 film, quasi tutti scritti da lui) problematica e ricca di contenuti interiori che lo ha portato anche a vincere tre Oscar (con La fontana della vergine, 1959, Come in uno specchio, 1961, e Fanny e Alexander, 1985).

Era nato il 14 luglio 1918 ed esordì mettendo in scena numerosi drammi a Goteborg e a Stoccolma. Solo in un secondo tempo si dedicò al cinema, che gli diede fama internazionale. Ma il teatro restò al centro dei suoi interessi. Prima di arrivare alla macchina da presa era stato sceneggiatore di registi importanti, come Sjoberg e Molander. Poi, fin dai film degli anni '40 ('Crisì, 'Prigione') fu dominato dall'angoscia di esistere, problematicizzata alla luce della 'morte di Dio'. Su questa strada negli anni '50 mise a fuoco varie tematiche: dall'arte ('Verso la felicità) all' amore sensuale ('Sorrisi di una notte d'estaté). Con 'Il settimo sigillo', una delle sue opere più note, ripropose il divino come elemento centrale della vita. Poi piegò verso l'amarezza esistenziale, con 'Il posto delle fragole' e 'Il volto'.

Negli anni '60 il simbolismo cosmico e spirituale cedette il posto ai duri contrasti uomo-donna caratteristici del prediletto August Strindberg, del quale diresse in teatro molte opere. In questa luce vanno letti film indimenticabili, come 'Luci d'invernò, dove si parla di un 'Dio-tappabuchi'; 'Il silenzio', che rappresentò la 'discesa agli inferi' di un'umanità abbandonata dallo spirito; 'Persona', che fu l'approdo ad un nichilismo cupo e insondabile; e ancora 'La vergogna' e 'Il rito'. Negli anni '70 prevalgono i temi della famiglia, vista come luogo di scontro e crudelta' reciproca (sentimenti che disse di aver avvertito nella sua famiglia di origine), da 'Passione' a 'L'adulterà, 'Sussurri e grida', 'Immagine allo specchio', fino a 'Scene da un matrimonio' scritto più volte per il teatro, il cinema e la tv.

Intanto, mentre cresceva la fama internazionale si formava anche il mito della sua misoginia, della determinazione con cui difendeva la sua privacy segnata da sei mogli (fra le quali l'attrice Liv Ullman) e sei figli. Fece scalpore, così, quando per il suo ottantesimo compleanno, volutamente passato in solitudine senza celebrazioni ufficiali, a sorpresa, ruppe il silenzio con un intervista tv.

All'amico regista Jorn Donner, con cui aveva condiviso l'amore per l'attrice Harriet Andersson, Bergman parlò di sé. Parlò dell'amore-odio verso il suo paese, culminato nel 1976 in un diverbio con il fisco,tanto duro che se ne andò per qualche anno in Germania, tornando in patria solo per ritirarsi in volontario esilio a Faaro, poco più di uno scoglio battuto dai venti più freddi d'Europa. "Mi metterò a tavola con il fucile carico e se qualcuno si avvicina per farmi gli auguri, sparo!" disse per scoraggiare qualsiasi visita da parte delle autorità svedesi.

"Mi sveglio alle sei - disse raccontando la sua giornata - faccio colazione, poi ascolto musica, tranquillamente, da solo. Non parlo con nessuno. E del resto sull'isola non c' è nessuno con cui parlare. Poi scrivo fino a pranzo: dormo fino alle tre. Quindi mi metto a vedere qualche vecchio film nel mio cinema privato". Già nel 1982 aveva detto addio alla regia cinematografica con 'Fanny e Alexander'. Poi, morta l' ultima moglie, Ingrid von Rosen, nel 1995, annunciò che non avrebbe fatto più nemmeno teatro (ma diresse ancora 'I cineasti' 1998).

Raro caso di cineasta-maestro ha trasmesso alla 'bottega' dei suoi fedelissimi i precetti della sua eredità spirituale. Nel 1978 affidò al suo attore-feticcio Erland Josephson e al suo direttore della fotografia Sven Nykvist il soggetto di 'Noi due una coppia' che vedeva in scena le crisi esistenziali di una pittrice (Ingrid Thulin), di suo cugino e del suo ex compagno. Dieci anno dopo è stato Max Von Sydow a farsi regista per tradurre il mondo minimalista bergmaniano in 'Katinka'. Nel 1992 consegnato al grande regista Bille August il copione autobiografico 'Con le migliori intenzioni'; Liv Ullman ha diretto 'Confessioni private' dal romanzo di Bergman nel '97 e due anni dopo 'Infedelé da una sua sceneggiatura.

@ansa.it
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