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Iraq - Lancet: dall'invasione almeno 655mila iracheni morti

Ultimo Aggiornamento: 12/10/2006 19:21
12/10/2006 19:21
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New York, 11 ott. - Da marzo 2003 a oggi sono morti almeno 655mila iracheni. È la stima di un gruppo di ricercatori americani e iracheni, riportata dai quotidiani statunitensi 'The New York Times' e 'Washington Post', che sottolineano come si tratti del bilancio più alto mai registrato sinora e come si discosti molto dalle stime fornite da altre organizzazioni e anche dal governo di Baghdad. Il bilancio pubblicato oggi è 20 volte superiore a quello fornito dal presidente statunitense George W. Bush lo scorso dicembre e 10 volte superiore a quello dell'Iraq Body Count.

Secondo i ricercatori, dai dati raccolti nel corso di questi tre anni si nota un regolare aumento della mortalità dai primi giorni della guerra, con un picco nell'ultimo anno. Quanto alle cause, 601mila persone sarebbero morte in seguito ad atti di violenza, mentre le altre 54mila sarebbero decedute per malattie o per altre ragioni.

Numeri che non piacciono a George W. Bush che li ha definiti ''non credibili''. Il presidente americano ha dichiarato che anche i vertici militari statunitensi non considerano veritiera questa stima, senza però fornire alcuna cifra alternativa. ''Molti innocenti sono rimasti uccisi'' si è limitato a dire. Durante la conferenza stampa di oggi alla Casa Bianca, Bush ha difeso la sua politica in Iraq, riconoscendo comunque che nel Paese sconvolto dalla guerra ''la situazione è molto difficile'', ma escludendo la possibilità di ''abbandonare'' l'Iraq.

Contraria allo scetticismo con cui i dati della ricerca sono stati accolti in alcuni ambienti, compreso quello militare, è Sarah Leah Whitson, funzionario di Human Rights Watch di New York. "Non abbiamo alcuna ragione per mettere in dubbio quanto scoperto e l'accuratezza dello studio - ha detto la donna -. Credo sia importante che, piuttosto che mettere in dubbio i risultati, si realizzi che i dati che arrivano dalle autorità irachene sono molto poco affidabili".

Lo studio è stato realizzato, tra il 20 maggio e il 10 giugno scorsi, da otto medici iracheni dell'Ateneo Mustansiriya di Baghdad supervisionati dagli epidemiologi della Scuola medica Bloomberg dell'Università Johns Hopkins e verrà pubblicato dalla rivista britannica 'Lancet'. Per la ricerca è stato scelto un campione di 1.849 famiglie, composte in media da sette membri, che vivono in 47 zone diverse del Paese arabo scelte in base alla densità di popolazione. I membri di ogni nucleo familiare hanno riferito delle perdite avute nei 14 mesi prima del conflitto e di quelle nel periodo successivo.

Secondo i risultati della ricerca, prima della guerra si registravano 5,5 morti ogni mille persone, mentre dopo il conflitto si è arrivati a 13,3 ogni mille e a 19,8 ogni mille alla fine di giugno.

A causare il 56% delle morti violente sarebbero state le ferite da arma da fuoco, mentre le autobombe e altre esplosioni avrebbero provocato il 14% delle perdite. Responsabili del 31% delle morti sarebbero le forze della coalizione.

Lo studio viene pubblicato, fa notare il 'New York Times', in un momento delicato per il governo iracheno, che è sottoposto a forti pressioni da Washington: gli Stati Uniti chiedono a Baghdad, infatti, di agire contro le milizie attive nel Paese. Nell'ultima settimana di settembre, tra l'altro, le autorità irachene hanno impedito all'obitorio della capitale e al ministero della Salute di diffondere dati ai media circa i decessi di civili. Adesso quindi, ricorda il giornale, solo il governo è autorizzato a fornire dati in merito, ma un funzionario della polizia irachena - a condizione di anonimato - ha rivelato che ogni giorno in Iraq si contano almeno 200 morti.

Adnkronos/Ign
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