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MILES DAVIS ROCKSTAR

Ultimo Aggiornamento: 13/07/2006 22:35
23/05/2006 23:05
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Miles Davis è passato alla storia come uno tra i maggiori musicisti jazz (memorabili quasi tutte le sue incisioni degli anni ’60), ma a me è sempre piaciuto considerarlo una rockstar.
Oltre a possedere molti dei pregi e dei difetti tipici delle rockstars (un forte carisma ed uno spiccato senso della leadership, assieme ad un prorompente amor proprio), Davis è stato uno tra i principali protagonisti del processo di contaminazione reciproca tra i linguaggi del jazz e del rock.
Avvisaglie della cosiddetta “svolta elettrica” di Davis si avvertono già nel 1969, quando Davis riunisce a New York un ottetto coniugando la tradizionale strumentazione acustica a quella elettrica, mutuandola dal prog-rock e dal funk.
Con lui, Wayne Shorter (sax soprano), Chick Corea ed Herbie Hancock (ai due piani elettrici), l'organista viennese Joe Zawinul, il chitarrista inglese John McLaughlin...



Registrato in un clima di inavvertita improvvisazione, “In a Silent Way” aggiornava la poetica di “Kind of Blue” alla modernità del sound elettrico, anche se con un accento ancora discreto sul piano elettrico di Hancock e Corea, e sulla chitarra elettrica di McLaughlin.
La sezione ritmica ugualmente si attardava sul tradizionale ruolo di sostrato, con il contrabbasso di Dave Holland.
Ma quando con “Bitches Brew” Davis aggiunse al contrabbasso di Holland anche il basso elettrico di Harvey Brooks, e la percussione venne affidata a due batteristi (Lenny White e Jack Dejohnette), la sezione ritmica ne risultò notevolmente rafforzata. Davis puntò anche sulle tastiere elettriche, con ben tre tastieristi (Zawinul, Corea e Larry Young). I fiati si arricchirono del clarinetto basso di Bennie Maupin, ed alla chitarra di John McLaughlin venne concesso un ruolo sempre più evidente.
I cromatismi sonori si moltiplicano e si sfaccettano in una giungla di variazioni, tenuta assieme dalla tromba di Miles Davis (amplificata da wah-wah).
E’ con questo album – che fece gridare all’eresia i puristi del jazz – che Davis portò a compimento la cosiddetta “svolta elettrica”.



L’elettricità non interveniva profondamente solo nella strumentazione e quindi nel sound, ma fu anche la protagonista in fase di postproduzione: Davis sovvertì la consuetudine di registrare gli album jazz in presa diretta durante le esecuzioni, aprendosi alle possibilità di sovraincisione e mixaggio già abituali per gli album rock.
Sono questi album che precorrono il filone della fusion, di cui Davis può essere considerato il padre, e che offriranno molti spunti alla scena jazz-rock, ispirando artisti come Frank Zappa, Robert Wyatt e James Chance…
...oltre ai suoi stessi collaboratori, come Corea ed Hancock, e soprattutto ad Wayne Shorter e Joe Zawinul che formeranno nel ’71 Weather Report.
Nel 72, Davis tentò di spingersi anche oltre, registrando con un orchestra di ben 14 elementi, “On the Corner”, alla ricerca di una musica totale (world-music?), che coniugasse la carnalità nera tribale con l’intellettualismo europeo, ed il minimalismo ascetico della musica orientale.



Non fu l’ultima eresia inseguita da Davis, che continuò a percorrere l’itinerario elettrico per tutto il decennio ’70, pur con lati e bassi, causati per lo più da problemi di salute.
Gli ’80 si aprirono con “The Man with the horn”, ma soprattutto con il sodalizio artistico con il bassista Marcus Miller (esperto anche nell’uso del sintetizzatore), che fece presagire una nuova svolta: l’album “Tutu” è in realtà quasi interamente opera del talento di Miller, che lo ha interamente composto, ma impreziosito dalla inconfondibile tromba di Davis, che umanizza con grande trasporto un fondale sonoro volutamente artefatto dall’uso di una tecnologica freddissima e ipercostruita: incontro tra black-music ed elettronica che già prelude alla moda synth-pop, che contaminerà negli ’80 anche il funk e l’RnB, costituendo quella ricetta transgender che è stata l’alimento principale della musica popolare nell’era della videomusica.



E’ questo l’album che apre l’ultima fase della sua carriera, in cui un evidente calo di ispirazione ed un interesse sempre più palese per le mescole popolari di rock funky e soul (che gli procurarono l’ammirazione di personaggi come Prince e Quincy Jones) gli alienarono una parte del pubblico più ricercato: fatto che non intaccò la voglia di Davis di confrontarsi e giocare d’anticipo con le mode incalzanti: ne sia la prova l’album "Doo-Bop" - che uscirà postumo nel ’92 – che anticipando il cool-jazz porterà persino il rap nella discografia del grande trombettista.


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