Dopo aver respirato polvere tra carte e scartoffie, ho capito che...
Quante volte ci è capitato di non ricordare il nome del batterista di una band che amavamo tanto tempo fa? Per ricordare quel nome, allora, ripercorriamo tutta la formazione, sperando che avvenga il miracolo e, di solito, il miracolo avviene.
A quante persone (accade soprattutto alle brave massaie di casa) succede di recarsi in una stanza per fare una determinata cosa e non ricordare più cosa si dovesse fare? Solitamente, si ritorna dove si era prima, sperando che il percorso a ritroso aiuti a ricordare la consegna e, il più delle volte, funziona.
La mente, quindi, ricorre a dei meccanismi per ricordare, meccanismi assai diffusi, ma il discorso è molto più ampio. Le differenze individuali nell’apprendimento sono definite dai diversi stili cognitivi, cioè le procedure e le operazioni che un individuo mette in atto per risolvere un compito che comporta la conoscenza, la memorizzazione e l’eventuale successiva rievocazione di qualcosa, ad esempio, come risolvere un calcolo matematico: ci sono persone che, per fare 12 + 5, addizionano 12 + 3 + 2, altri che invece semplificano 10 + 7, eccetera. Insomma, ognuno, per risolvere un problema cognitivo, attua una strategia personalizzata.
Non solo i compiti intellettuali sono soggetti a processi tipo cognitivo; anche fare canestro a basket o preparare una torta richiede una processazione di informazioni, perciò, gli stili cognitivi sono molteplici e plurali. C’è chi apprende grazie alla visualizzazione (schemi, appunti, figure, ecc.), c’è chi apprende con l’udito (ascolto delle spiegazioni altrui, lettura a voce alta, reiterazione orale ed autoistruzione verbale, ecc.) e c’è chi apprende attraverso attività concrete (esperimenti, manipolazione, movimento, ecc.). C’è chi è “analitico”, chi è “sintetico”, chi apprende rigorosamente da solo ed in silenzio, chi lavora meglio in gruppo, chi è in grado di comprendere in modo autonomo o chi ha bisogno di ripetere il concetto a qualcun altro, quasi per cercare conferma di aver capito bene (
e che fastidio per chi si rassegna ad ascoltarlo!). Spesso, si ricorre anche a due o più stili cognitivi per operare su registri diversi. Eppure, tante volte, capita di non ricordare una cosa: questo avviene perché
le condizioni patologiche della memoria (ipomnesie, amnesie, dismnesie) sono conseguenza del suo distacco dal reale. La rievocazione volontaria sarà più forte quanto più sistematica è l’organizzazione mentale. Nel caso dell’addestramento degli animali, abituarli ad uno stimolo esterno permette loro di conservarne le tracce: apprendere tramite condizionamento fa stabilire delle connessioni permanenti ed accessibili solo tra stimolo e risposta. Ciò che rende l’essere umano diverso dalle bestie è la processazione di tali stimoli. La memorizzazione, in termini pratici, avverrebbe allorché la strategia cognitiva è superiore al compito richiesto. I tomi scientifici dicono che le immagini restano fisse a livello subconscio, ma le esperienze sono rievocate da associazioni casuali, provocate da determinate sollecitazioni. Vi sono, poi, “rinforzi mnestici” (elogi, regali, sculacciate,
, ecc.) che aiutano a ricordare con più partecipazione, ma, in realtà, l’immagazzinamento delle informazioni avviene in continuazione, anche in modo incidentale, per il semplice fatto di aver percepito qualcosa, di aver prestato attenzione ad un messaggio. Quello che l’essere umano fa attivamente è conservare i dati nella memoria elaborandoli, adattandoli a se stesso e trasformandoli. Sembra emergere, però, che il dato da apprendere sia un elemento esterno alla mente e proprio della realtà, anche se, a livello “ingenuo”, tutti siamo capaci di costruire delle teorie. Appurato che la mente non è un magazzino per stipare nozioni, superate le “idee” platoniche che vivono nell’Iperuranio, come possiamo spiegare questo fatto? Con l’ambiente e la sua cultura. Infatti, lo sviluppo di una mente umana sarà vivace proporzionalmente al contesto culturale in cui cresce. Secondo lo psicologo russo
Lev Vygotskij, che applicò alla pedagogia le teorie marxiste, è l’ambiente stesso, la natura e gli strumenti che esso offre, ad educare l’individuo (visione contestualista). Si impara molto sia vivendo per la strada sia frequentando i migliori atenei: cambia solo la scala delle conoscenze e delle abilità. Secondo l’educazione di Vygotskij, se un adulto insegna ad un bambino come arrivare da casa sua a scuola, avvalendosi di segnali e accortezze geografiche, quest’ultimo sarà sempre in grado di ricordare il percorso: se lo dimentica, ciò avviene perché ha perso l’abilità di rievocarlo.
Lo statunitense
Jerome Bruner è andato oltre: la conoscenza (ergo l’apprendimento, fare cultura) consiste soprattutto nella codifica del significato delle cose, che è un processo immediato e variabile, perché mediato dal contesto, ragion per cui “fare significato” implica anche negoziarlo, trasmetterlo, spiegarlo, sottoporlo al vaglio altrui. E qui entra in ballo la comunicazione, che è strettamente legata alla cultura e ai suoi codici simbolici (lingua, linguaggio), che sono propri dell’ambiente e del tempo in cui si vive.
Basilare è quindi l’interdipendenza tra conoscenza e comunicazione: a questo servono le verifiche, le pubblicazioni, le recensioni, le opinioni. Bruner afferma anche che l’efficacia delle competenze raggiunte dall’uomo dipende dalla padronanza dell’attrezzatura culturale che famiglia, scuola e società gli forniscono, ergo un individuo sa interagire con la sua cultura, se è dotato di questa attrezzatura (saper fare e negoziare significato).
Altre teorie sull’apprendimento sono state formulate dalle correnti di pensiero del “behaviorismo” dal “costruttivismo” e dal cosiddetto “HIP”. Secondo i behavioristi, l’apprendimento è un “accidente”, che crea una conseguenza che cambia le probabilità del comportamento consueto di un individuo (molto aristotelico!). Il costruttivismo, invece, basa la conoscenza sul cambio di significato costruito dall’esperienza e dal “problem solving”. Secondo il sistema HIP (Human Information Processing), uno stimolo esterno (input), recepito dai sensori della percezione (soprattutto vista e udito), viene memorizzato seguendo tre procedure: attenzione, decodifica (nella memoria breve termine) e rievocazione (nella memoria a lungo termine). Il metodo, però, è restrittivo per la mente umana, in quanto mutuato dal funzionamento dei processori di computer (teorie computazionaliste).
Uff…
Un post lungo, ma interessante, no? ]
Act.