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L'attenzione

Ultimo Aggiornamento: 21/06/2005 20:30
14/03/2005 16:45
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Colgo l’occasione, visto i miei recenti studi in materia, per esporvi un eterno dilemma: che cosa è meritevole a livello di attenzione a livello di sub-inconscio? Che cosa selezioniamo in automatico e che cosa escludiamo a priori, senza un apparente metodo? Perché la nostra rete mnemonica cattura “dettagli” e trascura “nozioni, informazioni e prefissati”?

A mio avviso (sicuramente esisterà un indirizzo accademico di riferimento) esiste uno schema quadripartito:

Cose che dimentichiamo (inconsciamente)
Cose che “vogliamo” dimenticare (volontà dell’io)
Cose che ricordiamo (sforzo dell’io)
Cose che non “vogliamo” ricordare (potenza dell’io)

Il mio paziente per esempio, è in continuo bilico tra il volere e non volere, e nonostante i continui sforzi sul campo, un’analisi lunga mesi per non dire anni, mi contesta ancora quella che per lui è una sottile distinctio: ricordare-dimenticare. Il tutto è davvero molto interessante.
14/03/2005 18:03
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Interessante quesito...
specie se posto a quest'ora della giornata, dopo due ore trascorse a correggere quelli che un briciolo di dignità si rifiuta di chiamare compiti, partoriti da certe menti eccelse che la scuola italiana continua a sfornare...
Beh! scusate, ma questo è un altro discorso.

Torno sul seminato. Più che ricordare e dimenticare io credo, nella mia modestissima ma seppur ASSOLUTA ignoranza in materia..., che piuttosto sia il caso di parlare di ESPERIENZA!
Nel senso che: tu non dimentichi nè ricordi in assoluto.
Tu riporti qualcosa che è nel tuo subconscio solo quando la tua esperienza del momento lo crede opportuno.
Esempio pratico: vi è mai capitato di essere innamorati di qualcuno? una persona che di colpo entra nella tua vita e nelle tua esperienza quotidiana: ecco che dal tuo subconscio emergono miliardi di informazioni che prima neanche sapevi di avere. Non solo ma tutt'intorno fai maggiormente caso a tutto ciò che possa ricordarti quella persona. Sentirai il suo nome dappertutto. Il suo odore dappertutto. Particolari a lei legati escono di colpo fuori da ogni evento, anche il più banale: che so! Il telegiornale parla di una città in particolare che guarda caso è proprio la città di quella persona. O per strada scorgi dieci negozi, che prima neanche sapevi esistessero, che portano il suo nome o che espongono il golfino che indossa sempre anche lei.
Insomma credo di aver reso l'idea.
A me è sempre successo così! Niente si crea e niente si distrugge, ma alla fine tutto torna. Non dimentichi e non ricordi: semplicemente sperimenti e vivi!

Credo che dopo ciò, sentirete dei rumori provenire dalle tombe di Freud e Jung... [SM=g27981]
14/03/2005 18:26
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Geeez. Io bevo a pranzo, per accompagnare il pasto, ma voi....
Applausi a Elibett! Cocchina mia, sii orgogliosa di te, perché senza saper né leggere né scrivere (in psicologia) hai dato la risposta giusta!
Innanzitutto, la memoria è sempre selettiva ed è individuale, perché elabora le informazioni attraverso la percezione e le incapsula nel sostrato della propria esperienza, del proprio vissuto. In secondo luogo, chi fosse interessato a qualcosa di accademico dovrebbe leggere gli studi dello svizzero Jean Piaget e della psicologia cognitivista che vertono su memoria e attenzione. Piaget dimostrò che gli allievi della scuola di base erano più bravi di quelli meno giovani nei compiti di memoria e attenzione, ma dimostrò anche (seppur con scarsità di dati) che le due cose dipendono più dalla utilizzazione delle risorse che da capacità innate. Per farla breve, nell'apprendimento, ogni mente umana si chiede quale sia la via più breve, efficace e con minor dispiego di energia per ricordare, avendo a disposizione diversi mezzi. Il più diffuso è la reiterazione, usatissima per ricordare sequenze numeriche complicate, poesie, roba lunga. Invece, la mnemotecnica sfrutta il richiamo dell'informazione tramite una parola-chiave, un gancio mnemonico che fa da input al ricordo (la usavano aedi, rapsodi, trovatori e menestrelli). La memoria dunque conserva TRACCE dell'informazione, salvandole attraverso i sensi e non le archivia subito, ma le processa, filtrandole, modificandole, trasformandole in base alle proprie sintassi e ai propri lessici, per poi servirsene al momento giusto. Solo una psicologia di tipo ingenuo può considerare la mente un magazzino o un computer che salva dati, anche se l'associazione memoria-processore è molto cara ai cognitivisti... In realtà la memoria è una tavola da pub, avete presente? Ci sono sempre dei pub di periferia, in cui è ancora illegalmente tollerato il fumo, che offrono all'avventore tavoli incisi su tutta la superficie da anonimi epigrafisti in un grande marasma di solchi, che spesso fanno rovesciare le bottiglie e le bestemmie. Ecco, spesso per interpretare le frasi scritte si fa uno sforzo, altre invece sono leggibili e visibili a prima vista, altre ancora sono sfuocate, ma se ne ricorda il senso vago, altre, invece, sono proprio cancellate, ma non è detto che quelle che si leggono meglio siano per forza più recenti di quelle cicatrizzate...
A me piace questo paragone.
Saluti, [SM=g27959]
Actias

[Modificato da ActiasLuna 14/03/2005 19.36]

14/03/2005 20:12
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***
il dilemma posto dal profV è veramente interessante.

ma chi è il tuo"caso clinico"..?..ho una vaga idea.. [SM=g27973]

personalmente mi rocordo + i dettagli che il "fulcro" della cosa da ricordare. è grazie ai dettagli che ricollego l'evento. ma questo , nel mio caso , credo che derivi da una convinzione (del tutto mia!) per cui molte volte sia più utile e soprattutto + indicativo un dettaglio che non l'evento in se.

un'altra cosa che mi capita spesso è ricordare qualcosa passata tramite una sensazione , cioè..la sensazione diventa l'"input" per ricordare qualcosa di già avvenuto ...che altrimenti non avrei mai ricordato(almeno credo!)

ecco..se qualcuno vuole"studiarmi",spero di averlo aiutato[SM=g27960]
14/03/2005 20:46
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peccato che Freud sia morto [SM=g27983]
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Re:

Scritto da: AristocraticoMaNonTroppo 14/03/2005 20.46
peccato che Freud sia morto [SM=g27983]


Meglio così, altrimenti zio Sigmund, buonanima, l'avrebbe buttata sul sesso: "Mein lieber Nikola, tu non rikordare nichts perké troppo maniako di sesso! Tu nato "perverso polimorfo" (sic!), tu afere problemen con tua madre, tu folere uccidere tuo padre, tu fare sogni erotiken anke qvando sognare vokabolario di italiano-sanscrito..." [SM=g27960]
Senza offesa.
Actias
21/06/2005 20:30
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Dopo aver respirato polvere tra carte e scartoffie, ho capito che...
Quante volte ci è capitato di non ricordare il nome del batterista di una band che amavamo tanto tempo fa? Per ricordare quel nome, allora, ripercorriamo tutta la formazione, sperando che avvenga il miracolo e, di solito, il miracolo avviene.
A quante persone (accade soprattutto alle brave massaie di casa) succede di recarsi in una stanza per fare una determinata cosa e non ricordare più cosa si dovesse fare? Solitamente, si ritorna dove si era prima, sperando che il percorso a ritroso aiuti a ricordare la consegna e, il più delle volte, funziona.
La mente, quindi, ricorre a dei meccanismi per ricordare, meccanismi assai diffusi, ma il discorso è molto più ampio. Le differenze individuali nell’apprendimento sono definite dai diversi stili cognitivi, cioè le procedure e le operazioni che un individuo mette in atto per risolvere un compito che comporta la conoscenza, la memorizzazione e l’eventuale successiva rievocazione di qualcosa, ad esempio, come risolvere un calcolo matematico: ci sono persone che, per fare 12 + 5, addizionano 12 + 3 + 2, altri che invece semplificano 10 + 7, eccetera. Insomma, ognuno, per risolvere un problema cognitivo, attua una strategia personalizzata.
Non solo i compiti intellettuali sono soggetti a processi tipo cognitivo; anche fare canestro a basket o preparare una torta richiede una processazione di informazioni, perciò, gli stili cognitivi sono molteplici e plurali. C’è chi apprende grazie alla visualizzazione (schemi, appunti, figure, ecc.), c’è chi apprende con l’udito (ascolto delle spiegazioni altrui, lettura a voce alta, reiterazione orale ed autoistruzione verbale, ecc.) e c’è chi apprende attraverso attività concrete (esperimenti, manipolazione, movimento, ecc.). C’è chi è “analitico”, chi è “sintetico”, chi apprende rigorosamente da solo ed in silenzio, chi lavora meglio in gruppo, chi è in grado di comprendere in modo autonomo o chi ha bisogno di ripetere il concetto a qualcun altro, quasi per cercare conferma di aver capito bene ( e che fastidio per chi si rassegna ad ascoltarlo!). Spesso, si ricorre anche a due o più stili cognitivi per operare su registri diversi. Eppure, tante volte, capita di non ricordare una cosa: questo avviene perché le condizioni patologiche della memoria (ipomnesie, amnesie, dismnesie) sono conseguenza del suo distacco dal reale. La rievocazione volontaria sarà più forte quanto più sistematica è l’organizzazione mentale. Nel caso dell’addestramento degli animali, abituarli ad uno stimolo esterno permette loro di conservarne le tracce: apprendere tramite condizionamento fa stabilire delle connessioni permanenti ed accessibili solo tra stimolo e risposta. Ciò che rende l’essere umano diverso dalle bestie è la processazione di tali stimoli. La memorizzazione, in termini pratici, avverrebbe allorché la strategia cognitiva è superiore al compito richiesto. I tomi scientifici dicono che le immagini restano fisse a livello subconscio, ma le esperienze sono rievocate da associazioni casuali, provocate da determinate sollecitazioni. Vi sono, poi, “rinforzi mnestici” (elogi, regali, sculacciate, , ecc.) che aiutano a ricordare con più partecipazione, ma, in realtà, l’immagazzinamento delle informazioni avviene in continuazione, anche in modo incidentale, per il semplice fatto di aver percepito qualcosa, di aver prestato attenzione ad un messaggio. Quello che l’essere umano fa attivamente è conservare i dati nella memoria elaborandoli, adattandoli a se stesso e trasformandoli. Sembra emergere, però, che il dato da apprendere sia un elemento esterno alla mente e proprio della realtà, anche se, a livello “ingenuo”, tutti siamo capaci di costruire delle teorie. Appurato che la mente non è un magazzino per stipare nozioni, superate le “idee” platoniche che vivono nell’Iperuranio, come possiamo spiegare questo fatto? Con l’ambiente e la sua cultura. Infatti, lo sviluppo di una mente umana sarà vivace proporzionalmente al contesto culturale in cui cresce. Secondo lo psicologo russo Lev Vygotskij, che applicò alla pedagogia le teorie marxiste, è l’ambiente stesso, la natura e gli strumenti che esso offre, ad educare l’individuo (visione contestualista). Si impara molto sia vivendo per la strada sia frequentando i migliori atenei: cambia solo la scala delle conoscenze e delle abilità. Secondo l’educazione di Vygotskij, se un adulto insegna ad un bambino come arrivare da casa sua a scuola, avvalendosi di segnali e accortezze geografiche, quest’ultimo sarà sempre in grado di ricordare il percorso: se lo dimentica, ciò avviene perché ha perso l’abilità di rievocarlo.
Lo statunitense Jerome Bruner è andato oltre: la conoscenza (ergo l’apprendimento, fare cultura) consiste soprattutto nella codifica del significato delle cose, che è un processo immediato e variabile, perché mediato dal contesto, ragion per cui “fare significato” implica anche negoziarlo, trasmetterlo, spiegarlo, sottoporlo al vaglio altrui. E qui entra in ballo la comunicazione, che è strettamente legata alla cultura e ai suoi codici simbolici (lingua, linguaggio), che sono propri dell’ambiente e del tempo in cui si vive.
Basilare è quindi l’interdipendenza tra conoscenza e comunicazione: a questo servono le verifiche, le pubblicazioni, le recensioni, le opinioni. Bruner afferma anche che l’efficacia delle competenze raggiunte dall’uomo dipende dalla padronanza dell’attrezzatura culturale che famiglia, scuola e società gli forniscono, ergo un individuo sa interagire con la sua cultura, se è dotato di questa attrezzatura (saper fare e negoziare significato).

Altre teorie sull’apprendimento sono state formulate dalle correnti di pensiero del “behaviorismo” dal “costruttivismo” e dal cosiddetto “HIP”. Secondo i behavioristi, l’apprendimento è un “accidente”, che crea una conseguenza che cambia le probabilità del comportamento consueto di un individuo (molto aristotelico!). Il costruttivismo, invece, basa la conoscenza sul cambio di significato costruito dall’esperienza e dal “problem solving”. Secondo il sistema HIP (Human Information Processing), uno stimolo esterno (input), recepito dai sensori della percezione (soprattutto vista e udito), viene memorizzato seguendo tre procedure: attenzione, decodifica (nella memoria breve termine) e rievocazione (nella memoria a lungo termine). Il metodo, però, è restrittivo per la mente umana, in quanto mutuato dal funzionamento dei processori di computer (teorie computazionaliste).
Uff…
Un post lungo, ma interessante, no? ]
Act.
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